Ombre di un processo / 5 di Carla Baroncelli

3 novembre 2017 – TERZA UDIENZA PROCESSO BALLESTRI

L’imputato oggi, giorno delle testimonianze del fratello e della migliore amica di Giulia, non scrive neppure una riga. Si agita sulla sedia. Si gira e rigira. Mette e toglie gli occhiali. Intreccia e scioglie le mani. Due volte afferra il microfono del suo difensore per interrompere: Non è vero. Il presidente della corte lo redarguisce. Lui tace, la sua mascella mastica i denti. Sembra non essere lo stesso uomo delle scorse udienze. E forse, ascoltando bene le parole dei testi, se ne intuisce il perché. SEMBRAVANO UNA FAMIGLIA NORMALE, ha detto il fratello di Giulia. NORMALE. E’ la faccia mostrata fuori di casa: moglie, marito e tre figli; tutti belli, benestanti, colti, giovani; socialmente ben inseriti; sostenitori di un’Associazione contro la violenza sulle donne, come Linea Rosa. SEMBRAVANO. E’ la faccia dentro casa, fra le pareti domestiche: il marito, mosso dalla morale, maltratta la moglie, che difende il suo essere persona. E mentre la ragnatela brilla al sole, il ragno è in agguato dietro una foglia. Su ogni filo, s’annida un tipo di violenza: psicologica, economica, con ricatti affettivi, l’umiliazione economica, il sesso forzato. L’obbligo morale del silenzio. Così, di fronte alla richiesta di divorzio da parte di Giulia, il marito risponde: non siamo in crisi, noi andiamo benissimo, siamo belli e stimati, sei solo depressa, verso i 40 anni è facile che le donne si deprimano. Prendi queste medicine… Giulia si ribella: Lui si siede di fronte a me con la pillola in mano, finché non la prendi, non ti alzi di qui. Me la mette in bocca e mi costringe a mandarla giù. Così la prendo e basta. I ricatti affettivi sono la mossa più vigliacca. Ho le prove che hai un amante, le dice il marito, ti ho fatto pedinare e ti ho clonato il telefono. Io ti porto via i bambini, Ti distruggerò. Già i figli. Giulia si tormenta: Non posso abbandonare i bambini, mi ricatta, dice che mi devo comportare come se niente fosse, minaccia di dire ai bambini che lo tradisco. Giulia riconosce anche la violenza economica: Non va più a lavorare, disdice gli appuntamenti per controllarmi. Viviamo con la paghetta che gli passano i suoi genitori, e i soldi devo chiederli a lui. Non vuole che io torni a lavorare. Non mancano le regole di stampo patriarcale: non posso bere una birra che mi mortifica dicendo ai bambini: la mamma si ubriaca. Non posso fumare una sigaretta, e posso leggere solo i libri che sceglie lui. Mi controlla anche quando vado in bagno, per stare un po’ da sola. E mi dice: puoi andare dalle tue amiche una volta la settimana, ma non dovete andare al ristorante. E ovviamente arriva il richiamo del marito al dovere coniugale cui deve sottostare una moglie: Tutte le notti mi costringe a stare a sentirlo, poi mi costringe a fare sesso. Durante la pausa pranzo, mi porta in camera, chiude a chiave e vuole far sesso. Sempre sesso. Alla fine mi concedo… ma come una morta. L’esplosione della morale del marito, è un classico: Mi hai disonorato, ma io non posso perdere la faccia ed essere deriso dalla gente. Facciamo i separati in casa, perché così nessuno vede e non diamo nell’occhio. Fuori devi sorridere e far finta. Ogni giorno una minaccia: mi ha spinta contro l’armadio, mi ha messo le mani al collo, l’ho scansato con uno spintone. Gli ho fatto capire che non doveva più farlo. Non lo farà più. Giulia si è fidata di se stessa. E di lui. E dire che non voleva la luna, voleva solamente avere una famiglia normale, non sembrarlo. Ma non ha tenuto conto dell’avvertimento del marito: Ti distruggerò. Così è rimasta intrappolata nella ragnatela che il ragno ha costruito per mesi. Ha subito tutte quelle violenze, restando però coraggiosamente determinata a volere il divorzio. Più la preda si dibatte, più s’immobilizza. Il fratello e la sua amica l’hanno confortata, circondata d’affetto e attenzione per alleviare il suo sono angosciata, non ne posso più, ho paura. Ma dentro le mura di quella casa, in cui abitava quella che sembrava una famiglia normale, Giulia rimaneva sola. E in solitudine, chiusa a chiave in camera da letto col marito, si rassegnava: lo lascio fare, come una morta. Crediamo ancora al vecchio adagio: fra moglie e marito non mettere il dito? E se qualcuno, fra amici e familiari, avesse invece affondato il dito nella piaga? L’avesse aiutata ad allontanarsi dalla ragnatela, prima che il ragno, zac, la distruggesse, come aveva minacciato? Si usa dire anche: è facile parlare da fuori e col senno del poi e dire dovevi fare, andare, denunciare… Ma non c’è solo il senno del poi, c’è anche quello del prima. La violenza sessuale, dal 1997, non è più un reato contro la morale, ma un reato contro la persona. Nel corso degli anni le donne hanno capito di essere portatrici di diritti, oltre che di doveri, e faticosamente sono riuscite ad ottenere leggi importanti contro la violenza sessuale, lo stalking, i maltrattamenti, la violenza di genere. Purtroppo sono sempre di più le donne uccise dai loro mariti, compagni o ex, dentro famiglie che sembrava normali. Forse perché ancora dobbiamo imparare a chiedere aiuto. E dire che Linea Rosa era lì, a qualche passo di distanza da casa di Giulia. (… continua)