Ombre di un processo/10 di Carla Baroncelli

 

1 dicembre 2017 – SETTIMA UDENZA PROCESSO BALLESTRI  PERSONALITÀ.

Durante la settima udienza del processo Ballestri contro Cagnoni, si è tornati a parlare di personalità. O, meglio, di: DEPERSONALIZZAZIONE MOMENTANEA. E’ lo psicologo dell’imputato, durante il controinterrogatorio della difesa, a riferire di suoi episodi pregressi di panico e di “depersonalizzazione momentanea, un disturbo della personalità, un cluster B, su base narcisistica, con una presenza importante aggressiva e vendicativa”. La mia amica psicologa mi spiega che si tratta di sensazioni e che può essere considerato un sintomo di disturbo dissociativo della personalità, con momenti in cui non si è presenti a se stessi, ci si dissocia. Succede quando uno non si sente nella propria pelle, non si sente in sé. Non ci si riconosce più. Io provo qualcosa di così sconvolgente che faccio qualcosa che non farei in un altro momento. Eccolo qua il fantasma del RAPTUS. Non vi ci provate a tirare in ballo, come scusante, il raptus. Sarebbe come giustificare la violenza sulle donne e sui più deboli. Sarebbe una giustificazione alla prevaricazione, alla violenza, all’assassinio. E giustificare non aiuta a capire il perché di quella esplosione. E’ come se il corpo agisca come un robot. Un corpo scisso. Agli atti, non c’è traccia di disturbi conclamati della personalità dell’imputato. Credo piuttosto che lo psicologo abbia teso una mano al suo amico e cliente. Un suggerimento. Una scappatoia. Una possibile giustificazione, appunto. L’imputato oggi è quasi garrulo. Ride spesso. E’ sereno. In Corte d’Assise, stamane, manca il riscaldamento, ma a peggiorare le cose c’è un spiffero gelato intermittente: la FAMIGLIA. Quella d’origine. La famiglia fuori casa. Quella dentro casa. La famiglia desiderata. La famiglia distrutta. Apparenza e realtà. Sempre lo psicologo: “Sicuramente c’è stato un antico stato di insicurezza, frustrazione, da bambino poco visto, una infanzia con poche attenzioni, che ha portato a un eccesso di affermazione, dell’apparire, e la paura della perdita dell’immagine era vissuta in modo drammatico … Matteo Cagnoni è aggressivo”. La madre dell’imputato dice ad una amica, lo si sente nella registrazione di una intercettazione telefonica,: “Diciamo che l’ha fatta grossa, ma ha avuto un trauma così grosso lui, per la distruzione della sua famiglia che non ci ha visto più … chi l’avrebbe mai detto, sembrava che Matteo fosse il dio in terra … si vede che a volte gli ormoni fanno brutti scherzi … si vede che gli è venuto un frullo in testa che non ha saputo resistere … Delle donne giovani con un marito bravo, un marito buono così, andare a commettere degli errori per … per … rovinare tutto così … “. E qui svetta la parola chiave: gli ERRORI di Giulia. Era un errore non volere più cotanto dio. Era un errore non voler essere pedinata, controllata, costretta a leggere i libri scelti da lui, lui che le organizzava orari, entrate, uscite, tempi. Amicizie, messaggi, rubrica telefonica. A detta dello psicologo, Giulia non era depressa, piuttosto era passiva. Ma poi era cambiata, era diventata una donna decisa a riprendersi i propri spazi, le amicizie, gli interessi e anche le passeggiate. Voleva più autonomia. Sbagliava a voler interrompere una vita coniugale che la soffocava, sbagliava a desiderare una vita diversa? L’unico errore di Giulia è aver sottovalutato la minaccia: “ti distruggo”. In un’altra registrazione, si sente il padre dell’imputato, riferendosi al figlio in carcere, dire ad una amica: “Ho sempre fatto fatica a capirlo questo ragazzo, anche adesso, è strano che sia tranquillo… l’ambiente non è proprio rallegrante … soprattutto vederlo così … tranquillo come sai… io direi che l’unica cosa come … giustizia è fatta”. Così giustizia è fatta, in nome dell’onore della famiglia. Poco importa se in quella famiglia c’erano anche tre figli piccoli. Anzi, meglio un femminicidio di un divorzio, come fa intendere l’imputato, secondo quanto riferisce suo padre: “non è accettabile la condizione del figlio conteso, meglio l’orfano che il figlio conteso”. E questa sarebbe la famiglia da difendere? Quella che inizia con un matrimonio e continua fin che morte non ci separi? Forse la patologia sta proprio nel retaggio patriarcale, nella disparità di genere che vige in ogni famiglia, e che è la base di ogni violenza domestica. Al termine dell’udienza, l’imputato esce dall’aula tronfio, come un dio in terra.