OMBRE DI UN PROCESSO / 17 di Carla Baroncelli

16 febbraio 2018 – QUATTORDICESIMA UDIENZA PROCESSO BALLESTRI CONTRO CAGNONI
“Famiglia all’antica, dove lui ha più potere di lei”.
“Esprimevano un problema d’amore”.
Le frasi scelte dall’udienza di oggi, la quattordicesima, le ha dette lo psicoterapeuta di coppia, Stupiggia, a proposito di Giulia e suo marito.
Una famiglia all’antica, dove Lui è lucido e argomentativo. Attivo. Ha più potere all’interno della coppia. Lei appare sofferente e scoraggiata: “Una donna che si ritirava sempre di più, anche dall’interesse per la famiglia”. Una donna in ritirata, con un low profile. Lui è up, Lei è down. Lei non ha potere. Lui dice di Lei che è depressa: “Tu stai male. Curati!”, e la costringe a mandar giù i farmaci antidepressivi, che le prescrive lui stesso. Lei ammette di essere depressa, perché: “Lui mi toglie spazio”.
Può una famiglia all’antica sopravvivere nel secondo millennio?
Può. Le famiglie all’antica vivono ancor oggi in molte case, condomini, ville e tuguri, basta chiedere alle donne.
Lo psicoterapeuta definisce Lui e Lei, una coppia squilibrata. Il suo obiettivo è cercare di rimettere a posto il disequilibrio con l’empowerment, la presa di coscienza e la successiva ricerca di un nuovo equilibrio. Lei, impavida, esce dal down, si mostra interessata e riflessiva. Lui resta fisso nella sua visione di avere una moglie depressa. “Lui è un narcisista e lei non è malata”. Dopo quattro, cinque sedute, Lui interrompe i colloqui.
Il rapporto tra Lui (il Soggetto) e Lei (l’Oggetto) ormai però non è più lo stesso: il disequilibrio della coppia è venuto fuori, è stato nominato. La determinazione di Giulia è sempre più forte: “Rivoglio il mio spazio, la mia vita”. Stupiggia l’ha descritta essere, all’inizio del 2016,: “In uno stato germinale di emancipazione”.
Nei mesi successivi Lei ci lavora su, usa la crisi matrimoniale positivamente, per rinascere. Il germoglio si fa pianta. Ora è Lei a pretendere dei cambiamenti nel rapporto con Lui. Cose umane: uscire con le amiche, avere una vita propria, tornare a lavorare, ora che i bambini sono più grandi. Non le basta emanciparsi economicamente, vuole essere libera di esprimere la propria soggettività, il proprio sentire. Vuole essere, dopo tanto apparire, semplicemente Giulia Ballestri.
E’ una donna non più sottomessa. E’ sempre più determinata nel volere la separazione, ma con altrettanta determinazione vuole trovare un’intesa per i bambini. E’ consapevole che sta rischiando di perdere tutto ciò che ha: casa, agi e figli.
Mentre Lei si rinnova, Lui usa la crisi matrimoniale per demolire. Demolire tutto: ‘Muoia Sansone con tutti i filistei’. L’unico modo che Lui trova per risolvere la crisi è uccidere, annientare. Sotto le macerie ci sono anche i suoi figli, ma è solo un effetto collaterale. Lui, però non è Sansone, e non ci pensa neanche un po’ di perire lui stesso. Già si sente tranquillo “come se giustizia fosse stata fatta”.
Tanto basta. Il suo potere è salvo. Sarà salvo fino a che si dichiarerà innocente, al di là di una probabile condanna. Lo deve fare per i figli, per il “suo sconfinato amore per loro”. La sua proclamata innocenza, diventare il protagonista di un errore giudiziario, forse, lo farebbe diventare un eroe agli occhi dei bambini, almeno a uno. A proposito di figli, fa riflettere l’affermazione di oggi della psichiatra Brandi: “Meglio orfani che figli contesi, l’orfano può trovare qualcuno che lo ami, il figlio conteso si muove in una famiglia dilaniata, senza speranze”. In un femminicidio però i figli e le figlie, sono stati 1600 dal 2000 al 2014, sono orfani due volte: di una madre uccisa dal loro padre.
Torno a riflettere sulle affermazioni dello psicoterapeuta Stupiggia. Ma siamo sicuri che sia davvero un problema d’amore? E se fosse un problema di potere? Mi do la risposta da sola.
Gli aggettivi usati dagli amici, che conoscono l’imputato da quasi trent’anni, per descriverlo sono stati: solare, trascinatore, disponibile, carino. Violento? No. Vendicativo? No. Arrogante? No. Un padre molto attento. Premuroso e gentile con la moglie, nonostante i dissidi evidenti. Un amico lo trova un tantino permaloso. Racconta di una intercettazione presa nell’auto di Giulia che sta parlando del marito al suo nuovo compagno. Diceva che “non sopportava il suo odore, era nauseata di lui, e che lo trovava repellente”. Un altro amico ammette candidamente: “Avevo paura a fargli dei torti, temevo mi facesse delle ritorsioni”. E che: “Un altro uomo si fosse messo in mezzo, intromesso, era insopportabile per lui, soprattutto con quel tipo di uomo”. E ancora: “Il suo problema era lo sputtanamento pubblico”.
Da fuori non si notava niente. Bella coppia. Famiglia del Mulino Bianco. Tanto basta, Vostro Onore.
Essere o apparire.
Vorrei credere che i suoi amici abbiano cercato di far apparire l’imputato, migliore di quel che è. Rischierebbero solo, si fa per dire, un’accusa di falsa testimonianza, che prevede da due a sei anni di carcere, ma vallo a dimostrare in mezzo a tanti non so e non ricordo. Invece li ho sentiti convinti nel dire che quella coppia, squilibrata, era felice. Il che, è peggio. Non vorrei che fosse invece lo stesso modello di famiglia all’antica che venerano, che vogliono, che instaurano con le loro mogli o compagne.
A questo punto mi chiedo: non è che sia proprio lo sbilanciamento, tipico di ogni famiglia all’antica, a garantire la tenuta di un rapporto di coppia?
In mezzo a tanta pochezza maschile, in aula si è distinta la voce di una donna, la moglie di uno degli amici dell’imputato. Finalmente una persona reale. Una persona con emozioni e umanità. Matteo si riteneva, dice la signora,: “Una vittima della situazione … che amava ancora Giulia… e diceva a mio marito: Io voglio solo lei”. La sua voce a tratti esce impedita al respiro in apnea. Anche lei pare ritirata. S’incrina la voce al ricordo di Giulia, anche se non si conoscevano bene. Empatia? Sorellanza? Conoscenza dei meccanismi insiti in una famiglia all’antica?
Mi permetto una breve digressione. Se ragioniamo sull’apparire, oggi si è palesato in aula Matteo il Magnifico, ignoto mecenate del nostro secolo. Stava organizzando una mostra personale di un noto pittore! E chi se ne frega! No, no, conta invece. Un Mecenate potrebbe avere diritto a un’attenuante? Ci si prova. Se poi ci aggiungiamo quanto l’imputato da giovane fosse tanto bello, buono e bravo, è fatta. Sull’essere un mecenate davvero, c’è qualche dubbio: quella mostra appare essere una speculazione, una questione di soldi, più che amore per l’arte.
Non riesco a togliermi dalla mente il quadro del Narciso. Un quadro che a Giulia non era mai piaciuto. Che non voleva in casa e che aveva fatto portare alla villa di via Genocchi, per non vederlo più. Quel quadro da fotografare con la scusa di un compratore, peraltro inesistente. Un quadro che è stata costretta a rivedere quella mattina prima di morire.
Potrebbe essere l’ultima immagine che ha visto Giulia, prima di essere colpita alle spalle da un Narciso vero.