Sull’uccisione di due bambine e del tentato femminicidio della madre da parte dell’ex marito carabiniere.

NOI CI CHIEDIAMO
Non c’è stupore, solo rabbia feroce e dolore profondo per l’uccisione di due bambine e il tentato assassinio con ferimento gravissimo, e dall’esito incerto, di Antonia Gargiulo da parte del marito e padre Luigi Capasso, appuntato dei Carabinieri. Lo sconcerto inscenato dai media, desta indignazione e non poco stupore in chi si occupa da anni della violenza maschile sulle donne: sappiamo che i delitti di femminicidio sono sempre ampiamente annunciati, perché troppo spesso premeditati e non provocati da pazzia o da raptus. In questo caso oltre le responsabilità generali precise che denunciamo da sempre ci sono anche le responsabilità circostanziate dopo le richieste di aiuto di Antonietta per sé e per le figlie. Nei resoconti dei media i commenti e le minimizzazioni sono le stesse di sempre, perché è difficile trovare parole nuove per delitti terribilmente simili nel percorso che li genera e sono le stesse di sempre anche le domande che pongono i media, alla ricerca del dettaglio e di uno scoop che la ripetitività dell’atto rende ormai impossibile. L’informazione diventa così immediatamente stucchevole e obsoleta, cose già viste e sentite che si possono dimenticare facilmente, soprattutto se sono delitti che non possono essere usati politicamente per alimentare il clima di odio per chi è diverso, ma riguardano invece proprio i tutori dell’ordine, i paladini della sicurezza.

Noi ci chiediamo, perché chi porta un’arma per lavoro può portarsela a casa, mentre sappiamo benissimo che nessuno può portare a casa strumenti di lavoro, soprattutto se potenzialmente pericolosi.
Noi ci chiediamo, perché a Luigi Capasso sia stato permesso, dopo la perizia, di mantenere l’arma, nonostante quanto rivelato dalla moglie all’Arma e nonostante lui stesso abbia dichiarato di star male.
Noi ci chiediamo, perché i suoi superiori si richiamano a una perizia psicologica, quando sappiamo benissimo che il femminicidio della partner è quasi sempre premeditato e certamente non è frutto di qualche disturbo o disagio mentale rilevabile in un colloquio.
Noi ci chiediamo, in particolare perché ci sia bisogno di una valutazione psicologica, palesemente e drammaticamente inutile, se non trovano credibilità le parole della donna che subisce violenza.
Noi ci chiediamo, perché il personale delle istituzioni, di uno Stato, che ha firmato la Convenzione di Istanbul, che dovrebbe tutelare cittadini e cittadine, sia o appaia gravemente incompetente sulla questione della violenza, che presenta dati allarmanti non emergenziali, ma strutturali anche tra le forze dell’ordine.
Noi ci chiediamo, perché i media, che concorrono alla formazione delle immagini e dei comportamenti sociali, continuino con un’informazione sciatta, poco pertinente, interessata solo alla ricerca di particolari spesso inutili all’informazione stessa, giustificativi dell’assassino o colpevolizzanti della donna, sottolineando in modo osceno l’amore paterno.
Noi ci chiediamo, perché sia così difficile capire che un uomo violento in famiglia e contro la moglie non è mai un buon padre.
Noi ci chiediamo, perché resti fuori dall’informazione e dalla formazione tutto il mondo delle associazioni, gruppi, movimenti e donne che di questi temi si occupano, passandosi faticosamente il testimone da decenni.
Noi ci chiediamo, perché una donna terrorizzata che chiede aiuto ai sevizi territoriali sia convinta a fare mediazione famigliare proibita dalla Convenzione di Istanbul e dall’Intesa Stato-Regioni.
Noi ci chiediamo, quale sia la formazione scolastica e universitaria che legittima la teoria sessista della PAS e la forma patriarcale delle relazioni umane contraria ai principi della Costituzione.
Noi ci chiediamo, perché i media continuino a privilegiare il parere di cosiddetti esperti o esperte rendendo invisibile la rete reale di donne che su questi temi prima di tutto si confrontano lavorando CON le donne e non per le donne o, peggio ancora, sulle donne.
Noi ci chiediamo, perché i e le professioniste che per lavoro dovrebbero prevenire, intercettare, fermare la violenza maschile sulle donne non cominciano a lavorare sul proprio immaginario, sugli stereotipi, sulle tante pratiche attraverso le quali le donne vengono ancora considerate cittadine di seconda scelta, incapaci di pensare, scegliere, agire.
Noi ci chiediamo, perché la scuola, gli/le insegnanti, gli/le assistenti sociali non abbiano ascoltato e capito il terrore delle bambine e della madre.
Noi ci chiediamo se Antonietta si salverà come e con chi potrà affrontare la tragedia della sua vita.
Noi ci chiediamo, perché le pratiche di ascolto della società civile, di cui le donne sono maggioranza, non siano diventate, nonostante i decenni di lavoro, permanente patrimonio istituzionale corrente e non casuale comportamento virtuoso lasciato alle scelte e inclinazioni individuali.
Noi ci chiediamo se femminicidi e figlicidi non diventano sempre più tragici, perché uomini violenti sanno di poter contare su complicità culturali e politiche palesi e occulte a ogni livello.
Noi ci chiediamo: a chi possiamo rivolgerci come donne se le istituzioni tollerano aree di superficialità connivente e operano guardando la realtà attraverso il pregiudizio?
Noi ci chiediamo se non sia arrivato il momento di dire BASTA! e che i responsabili diretti e indiretti della mattanza di Cisterna debbano dare le dimissioni per quanto non hanno fatto dopo gli allarmi di Antonietta e per quello che hanno fatto lasciando il carabiniere Capasso in condizione di programmare i tre assassini.
Noi ci chiediamo se il Governo, nelle figure dei ministri con le deleghe per prevenire la violenza alle donne, aiutare queste con i/le loro figlie a mettersi in salvo e punire i colpevoli, non si debba assumere in modo chiaro le proprie responsabilità.

L’alternativa è che tutto continuerà come è successo finora, in cui i reati di altra natura calano, ma la violenza contro le donne, i femminicidi e i figlicidi continuano indisturbati e sempre più feroci.

Nonostante la Convenzione di Istanbul, nonostante la Cedu!
Il tempo delle domande è finito da tempo: vogliamo risposte.

UDI Nazionale
Roma, 3 MARZO 2018