Se l’Autodeterminazione di una Donna viene Violata

Da una parte una legge che le ha consentito di procedere con l’interruzione terapeutica della sua gravidanza. Dall’altra un regolamento che non è stato rispettato. E così una donna ha visto il suo nome scritto sulla croce che indica il luogo di sepoltura del suo feto. Quel figlio mai nato per motivi che, ovviamente, sono riservati.

Una riservatezza dovuta e prevista dalle norme in vigore che, però, viene svilita da quel che è accaduto a Roma. Questa è la storia di Marta Loi, una donna che ha voluto rompere il silenzio per raccontare cosa le è accaduto, svelando uno scenario inquietante, che getta un’ombra angosciosa su tante donne romane che, per i più disparati motivi che nessuno può sindacare, sono dovute ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Marta ha raccontato di aver interrotto la sua gravidanza qualche mese fa, il tutto secondo le indicazioni terapeutiche e la legge, all’ interno di uno dei centri specializzati della capitale. Al momento di firmare i fogli con le varie pratiche burocratiche le venne chiesto se avesse intenzione di procedere con le esequie e la sepoltura di quel feto. Lei disse di no.

Sette mesi dopo la sua interruzione di gravidanza, Marta Loi ha ritirato il referto istologico. E, in quel momento, le sono tornate in mente quelle pagine lette sui giornali in cui si parlava del cimitero dei feti. E lì chiede a un operatore della clinica in cui si era recata che fine avesse fatto quel feto. «Signora noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Stia tranquilla anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome». Il suo nome, quello di Marta Loi. Nonostante lei non avesse dato alcun consenso alla sepoltura e alle esequie.

 Il vuoto normativo sulle modalità di sepoltura dei feti nati morti seppelliti anche in assenza della volontà della donna ha fatto sì che, nell’ignoranza di tutti, si sia creato un piccolo cimitero di donne colpevoli e crocifisse. Nessuno si è posto il problema di quale impatto potesse avere una tale procedura sulla donna, della storia che vi fosse dietro a quell’aborto, o forse lo si è semplicemente ignorato.

Ebbene, lo scenario a dir poco agghiacciante che Marta Loi ha con coraggio denunciato richiede un intervento immediato per sanare questa incredibile violazione della privacy e dell’autodeterminazione delle donne.

Associandoci alle deputate che già si sono espresse in tal senso chiediamo un intervento immediato del governo e di tutte le autorità competenti per la regolamentazione della materia in modo uniforme nel rispetto dell’autodeterminazione e dei diritti fondamentali della donna, che ponga presto fine a questa abominevole situazione che si verifica a Roma e in chissà quante altre città d’italia.